DERBY, IL DOPOPARTITA FORTITUDO
Poteva essere mattanza, ma alla fine la Fortitudo ha ottenuto dal derby quello che, onestamente, doveva chiedere: grinta, orgoglio, e la rabbia per replicare ad un destino che pareva già scritto. Vero che la Virtus ha giocato con il piglio di chi la voleva chiudere subito per andare al meritato riposo, ma recuperare dal 20-37 (quando nella boxe ci sarebbe potuta essere la richiesta di lancio della spugna) e, con un 32-9, rimettere tutto in discussione, è stato il modo migliore per dire al proprio pubblico che, sì, ogni tanto qualcosa si accende in positivo e male non è andata.
E' sembrato quindi di rivedere la trama del primo Rocky, quando alla fine il Balboa regge l'urto, viene battuto ai punti, e paradossalmente porta perplessità più in casa del vincente che non del perdente. Quello che però Dalmonte deve ricordare - e su questo comunque ci ha fatto un punto fisso - è che ogni partita fa storia a sè, e pensare di aver risolto tutto solo grazie a questa prestazione sarebbe sbagliato. Ma qualcosa lo si può mettere nella carpetta degli appunti: Cusin non è bollito come si pensava, Banks tutto sommato il ruolo di leader lo sa prendere bene, e Baldasso forse ha fatto capire che certe gerarchie tecniche, ormai, devono essere riviste.
La Fortitudo è una regola - Banks ha dimostrato che a dargli la bacchetta da direttore d'orchestra ci saranno anche sbavature ma lo sbattimento è garantito. E Baldasso è stato quello che, forse un po' troppo enfaticamente in tanti casi, si definisce cuore Fortitudo.
Ci stiamo sbagliando ragazzi - Non è cospirazionismo pensare che di recente la squadra abbia giocato meglio senza Aradori. Che in attacco, ad aspettare la palla da fermo e con poche gambe per battere l'uomo, non pare poter essere la classica prima punta. L'azione in cui Pajola gli ha rubato boccia e corso in contropiede lasciandolo a piedi è una fotografia, forse impietosa, del momento.
(Foto Valentino Orsini - Fortitudo Pallacanestro 103)