I MIEI ALLENATORI: VALERIO BIANCHINI E I GENI DELLA PANCHINA
28 aprile 1996, hangar di Pesaro. Era appena terminata gara 2 dei quarti di finale tra Scavolini e Fortitudo, ennesima sfida dell’anno tre le due rivali: c’era stata la Coppa Italia (e ne parleremo), la Korac, e l’epica sfida a 3 supplementari in regular. Bologna aveva vinto in rimonta, passando il turno, e prima di chiudere e passare la palla al palazzone nuovo (era l’ultima partita prima della chiusura di viale dei Partigiani) – con molti tifosi Fortitudo, dato che i playoff a Pesaro non erano in abbonamento – risuonò un corale canto di pernacchia a Valerio Bianchini. Che nelle Marche non sopportavano più (e infatti non ci sarebbe più tornato) e in biancoblu non avevano mai sopportato. E che si era reso reo di leso timeout, in Coppa Italia, mettendo l’indice destro sotto il palmo della sinistra a doppia sfida già ormai decisa. Aveva ragione lui (voleva provare uno schema), ma forse la cosa, in quell’atmosfera, tanto opportuna non lo era. E fu costretto ad uscire scortato. Ecco, 28 aprile 1996: immaginare che lo sbertucciato Vate sarebbe stato, sette mesi dopo, l’allenatore Fortitudo dopo il siluro a Scariolo – e ottimo interregno del vice Dalmonte, con derby vinto – non lo avrebbe fatto nemmeno il più sadico degli sceneggiatori.
Ovviamente, il suo arrivo non fu festeggiato: Separati in casa vergò la Fossa, mentre a lui veniva chiesto, per forza di cose, che fare di quel brocco (almeno per quanto visto a Bologna) di Crotty. “Almeno fatemelo studiare un po’”, rispose Bianchini: non ci mise molto, due partite, e poi arrivederci e grazie. Saltata l’idea di una squadra più equilibrata e meno dipendente dagli esterni, anche quella Teamsystem si sarebbe affidata a guardie con tanta voglia di palla, e a Myers venne appaiato Eric Murdock: gli altri stavano a guardare loro che tiravano, ma si iniziò a vincere un po’ di più. Non in Coppa, dove per nemesi a cacciare la Effe fu proprio il Barcellona di Djordjevic (e una fischiata in pura malafede nel finale di gara 2, in Catalogna, di un sicario chiamato guarda caso Richardson: gara 3, a Casalecchio, sarebbe poi stata un disastro), ma in campionato si risalì fino quasi al vertice.
Con playoff rocamboleschi, con Varese nei quarti a dominare in gara3 a Bologna e la gente a inseguire con il forcone una squadra con cui c’era davvero poca empatia: si recuperò, si fece 3-0 nel derby di semifinale contro la Virtus di Oronzo Prelevic, poi Treviso ce la ricordiamo tutti. Con gara4 e gara5 in 24 ore, e il vituperato Bianchini che arrivò a due tiri e un fallo in attacco lontano dalla palla (chi arbitrava… ops, Zancanella pure qua. Ma allora era proprio sfortuna) dall’essere il primo allenatore subentrato a vincere uno scudetto. E di questa cabala ce ne ricorderemo.
L’anno dopo, fu l’anno degli arrivi miliardari, e forse la squadra non era proprio quella adatta a lui. Che, da allenatore diciamo anni ’80, era abituato a quintetti fissi, due cambi, e panchinari a fare i panchinari. Ma un conto è l’NE fisso per i Pol Bodetto e i Golinelli della situazione, un conto per i Moretti e i Galanda del 97-98, che lentamente persero ritmo e incisività, lasciando a solo quattro giocatori (Rivers-Myers-Wilkins-Fucka) i destini della stagione. Forse c’erano troppe aspettative, forse ci si aspettava una serie di vittorie con i giocatori a segnar di tacco, ma qualche problema c’era, specie in pigre trasferte di Coppa dove era evidente che la squadra fosse troppo pesante per reggere alle altrui sfuriate. Seragnoli si dissociò (“Un commento sulla squadra? Chiedetelo a quei geni che stanno in panchina” disse un giorno), e la camminata sulle uova di Bianchini si concluse di fatto in gara 2 dopo in neuroderby. Dove nuovamente ci furono rotazioni troppo secche, e un Wilkins zoppo fatto giocare 40’, e che arrivò a fine gara con visioni fantozziane sul tabellone del canestro. Venne scaricato, e qui inizia la dissonanza cognitiva.
Perché, dopo tanti anni, molti mettono la mano sul fuoco che senza quell’esonero la Fortitudo non si sarebbe fatta sfuggire lo scudetto, ma senza la controprova (e con la debacle in Eurolega a memoria) tutti sono capaci di vincere. E di fatto, se ben ricordo, non ci furono processi e capelli strappati quando arrivò la notizia della chiusura del rapporto con Bianchini. Ma anche qui, la nemesi storica è grottesca, dato che proprio uno degli allenatori meno amati è quello a cui la Effe ha legato la sua prima vittoria, ovvero la Coppa Italia di quel 1998. Cosa che manda di fatto Valerio Bianchini nella storia del club, ma dire che il rapporto tra lui e la piazza si fosse ricucito, anche 22 anni dopo, sarebbe ipocrita.