“They fired RecalHati! They fired RecalHati!”. Siamo nel 2001 a Ierapetra, paesino nel sud di Creta da cui partono i traghetti per la paradisiaca isoletta di Chrissi. A inseguirmi urlando così un imbarcadero che, vista la mia maglietta con scritto Bologna, volle dimostrarmi la sua conoscenza in materia e convincermi – riuscendoci – a prendere il biglietto per Chrissi proprio da lui. RecalCati, con la C, era stato appena sollevato dall’incarico (cit, anzi futurcit.) dopo uno scudetto vinto e una seconda stagione non propriamente positiva.

Quando firmò con la Fortitudo, Recalcati aveva appena vinto un epico campionato con Varese, dando soprattutto l’impressione che ci fosse una via alternativa al successo, rispetto alle partite che terminavano 50-40. Non ebbe bisogno di fare tanti cambi: si riportò Galanda, che peraltro era finito ai Roosters in prestito proprio dalla Effe, e chiuse la questione centro (l’anno prima ad un certo punto ci si ritrovò a ridare 30’ ad un comunque efficace, ma logoro, Dan Gay) con l’arrivo dell’Omone, Vrankovic. E quella Fortitudo, almeno in campionato, macinò vittorie su vittorie senza nessun problema che uno, sfruttando forse anche il fatto che, dall’altra parte, la Virtus fosse nel suo momento di riflusso tra la fine dell’era Danilovic (ancora in campo, ma ormai distrutto dagli acciacchi) e il non ancora inizio dell’era Ginobili. Qualcosa si pagò nelle coppe, con la Coppa Italia al primo tentativo di Final Eight abortito nei quarti e con l’Eurolega stoppata dal Maccabi, dopo aver vinto gara1 in Israele. Ma in campionato, fu una cavalcata quasi senza problemi.

La finale iniziò con Bologna che, nei patri confini, vantava un record di 33-3, ma essendo poi la Fortitudo, e quindi calamitata per indole dallo spirito di Tafazzi, gara uno in casa contro Treviso venne persa. E allora, cosa capitò per evitare l’ennesima beffa? Un po’ la crisi religiosa di Carlton Myers, che spesso avrebbe raccontato di forti emozioni interne dopo quella partita, ma forse più che il tu hai visto la luce! e più che James Brown, servì la calma che Recalcati trasmise alla truppa. Nulla era perso, disse, e infatti sarebbero arrivate tre vittorie e, finalmente, il Tricolore.

Poi, l’anno dopo, tante cose cambiarono. E’ fare 13 in schedina il lunedì dire che scegliere Meneghin e non Ginobili sia stata una decisione sciagurata, ma nell’estate del 2000 nessuno ebbe da lamentarsi, considerando che il primo era stato votato Mister Europa (per dire, seguendo nell’albo d’oro a Danilovic, Sabonis e Kukoc…) e con Recalcati aveva vinto un campionato, e che il secondo aveva sì fatto ottime cose, ma a Reggio Calabria. Il problema fu che, con il tricolore al petto, la Fortitudo non aveva più fame, come spesso capita alle squadre non abituate a vincere. E qualche errore di costruzione saltò fuori, con il balletto degli stranieri che portò al gregario Autry prima, alla riesumazione di Vrankovic poi, e alla scarsa indole di Bowie infine. Chiaro che se sei il numero due in Europa, ma anche il numero due in Italia e il numero due in città perché i tuoi cugini sono i numero uno in città, in Italia e in Europa, tutto diventa difficile. Ci fu lo 0-3 in Eurolega, con il famoso 1-25 in gara3, e lo 0-3 quasi inerziale in finale scudetto.

A quel punto, le quotazioni di Recalcati scesero clamorosamente, benchè ci fosse un contratto e benchè, chissà, una rivincita gli sarebbe stata dovuta. Ma in Fortitudo, a quanto pare, bastava un errore per buttare tutto al vento, e quindi in estate, per un po’, si cercò un sostituto che in principio non venne trovato, e sarebbe dovuto essere un croato, Jasmin Repesa. Charlie disse più o meno “mi hanno tenuto più per forza che per amore, solo perché ho contratto”, firmando la sua condanna e, di riflesso, facendomi scegliere da quale imbarcadero partire per Chrissi. Il coach del primo scudetto, passato poi per un attimo dalle follie reggine di Mimmo Barbaro, qualche altra soddisfazione se la sarebbe tolta, andando a citofonare al bronzo europeo e all’argento olimpico con la Nazionale. E al primo scudetto con Siena, nel 2004, proprio contro la Fortitudo. L’allenatore del primo scudetto: basta e avanza, no?

Ah. L’isolotto di Chrissi era bellissimo. Specie se, ad arrivarci, si veniva accolti da una gentil pulzella, ignuda, ancora addormentata dai bagordi della sera prima. Criminale, chi le chiese di rivestirsi.
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