Sabato 9 novembre a Varese verrà proiettato il docufilm "Parigi 1999 - Vent'anni dopo". A tal proposito, Damiano Franzetti di Varesenews ha sentito Alessandro Abbio. Un estratto dell'intervista.

"Quello fu un successo di grandissima importanza, al quale arrivammo dopo aver perso la finale del ’97 con la Jugoslavia, con una nazionale molto diversa da quella che poi trionfò in Francia e della quale facevo comunque parte. Per me quell’oro fu il coronamento di un sogno iniziato tanti anni prima, iniziando a giocare a basket a 7 anni: ne avevo 12 quando l’Italia vinse l’oro a Nantes nel 1983. Ho un ricordo nitido di quel successo con i Caglieris, i Villalta, i Meneghin (Dino) in campo: avevo già nel sangue la pallacanestro e sognavo la maglia azzurra. Mi andò bene perché le convocazioni con le selezioni giovanili arrivarono presto e con esse i primi titoli come l’oro europeo under 22 nel 1992; da lì in avanti fu Nazionale maggiore con cui ho avuto l’onore di giocare anche alle Olimpiadi.
La preparazione all'Europeo fu per me dura: rischiai seriamente di restare fuori perché mi procurai una distorsione pesante alla caviglia in una delle prime amichevoli contro la Svizzera. Dovetti tornare a Bologna per le visite e le terapie e tra l’altro in quel periodo mi era scaduto il contratto con la Virtus e non lo avevo ancora rinnovato. Per fortuna c’era Tanjevic: il c.t. mi diede due settimane di tempo e attese l’evoluzione del mio recupero. Io feci fisioterapia, poi tornai ad allenarmi col pallone nella palestra Virtus all’Arcoveggio dove mi allenavo da solo e poi andavo a correre, spesso in salita, in un parco a Casalecchio: volevo farmi trovare a buon livello anche dal punto di vista atletico. Mi unii alla Nazionale proprio a Varese dove Tanjevic aveva in programma le scelte decisive. Mi disse: “Ti vedo bene, Picchio, sei dei nostri”. Ero euforico e forse ci diedi dentro ancora di più per onorare quella convocazione così incerta, con una distorsione che rischiava di interrompere un percorso azzurro che durava da anni.
Prendere in giro Danilovic che affrontai e stoppai? No dai, non sono un tipo da battute di questo genere, anche se magari qualche volta, qualcosa mi è scappato! In quella partita marcai Danilovic anche perché lo avevo affrontato tantissime volte in allenamento, alla Virtus. Tra noi era una sfida continua: lo era per me, perché dovevo cercare di limitare un giocatore fortissimo, ma lo era anche per lui perché lo facevo “allenare realmente” in settimana, creando situazioni simili a quelle delle partite ma senza andare oltre il limite. Dopo tanti anni di lavoro insieme, ho cercato di apprendere la sua mentalità, quella di un giocatore straordinario cresciuto fin da ragazzo in squadre di altissimo livello. Batterlo con la Nazionale fu un motivo di soddisfazione, e per me questo significa aver contribuito alla vittoria della squadra limitando un campione"

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