Ieri a Basket 108 Flavio Carera è stato ospite della trasmissione Possesso Alternato.
Le sue principali dichiarazioni.
Il sogno di tutti noi bergamaschi è di portare a casa un trofeo, speriamo di portarla a casa. L'Atalanta non vince nulla dalla Coppa Italia del 1963, questa è la quinta finale, io ero a Roma due anni fa quando perdemmo, stavolta speriamo di farcela. Venendo al basket, l'interesse del risultato fa impiegare poco i giovani, la mia fortuna a Livorno fu avere una società che ci permetteva di sbagliare, eravamo tanti giovani che dovevano crescere ed ebbero la pazienza di aspettarci. La semifinale del 1989 a Livorno contro la Knorr fu una grande soddisfazione, una serie di triple incredibili, ma la mia fu una pietra. Chiedetemi pure anche della finale, perché il canestro era buono!! La Virtus era una grande squadra, con Richardson, Clemon Johnson, Villalta, Brunamonti, Bonamico, ma noi meritammo il passaggio di turno, anche se in gara uno la Virtus arrivò vicino a vincere. Poi a Bologna quella rimonta contro la Benetton campione d'Italia, quando rimontammo venti punti e non era facile, io ebbi dieci minuti di grazia con numerosi ganci, fu una partita irripetibile per me, portai qualcosa di più del mattone abituale. Posso dire di essere entrato nel cuore dei bolognesi quel giorno, ma ho tanti ricordi belli. Sia a Livorno sia a Bologna il pubblico mi ha sempre accolto bene, anche se i tifosi bolognesi si mettevano le mani nei capelli quando andavo in lunetta; diciamo che quel giorno mi feci perdonare i tanti liberi sbagliati in maglia bianconera. Gamble oggi sbaglia molti tiri liberi nella Virtus di oggi, ma è importante per tante altre cose. Io ho sempre avuto la fortuna di avere allenatori che mi apprezzavano per quello che sapevo fare senza troppe critiche per i miei punti deboli, chiudendo un occhio o anche due per esempio sui liberi dove spesso ero anche sotto il 50%, sebbene mi allenassi tanto, ma in partita è tutta un'altra cosa. Magari adesso senza la pressione del pubblico tirerei meglio, ma tirarli nel Madison di piazza Azzarita faceva tremare le gambe. Ricordo volentieri la parentesi a Ozzano con Nick, ma io ero neanche alla frutta ero al caffè. Ero a fine carriera, avevo praticamente smesso, fare un anno con un gruppo di ragazzi giovani, mi permise di mitigare la malinconia di dover lasciare la pallacanestro. Sklero che purtroppo è mancato, Torre, il presidente Cuzzo. All'inizio di carriera ho giocato con Chuck Jura, guardandolo in palestra ho imparato tanto. Giocando con i bravi impari molto. L'ultimo anno a Bologna, avevo proprio il compito di far crescere Barlera che aveva grandi potenzialità e purtroppo è scomparso troppo presto. Per me non era un momento facile, ma Messina mi chiese proprio di far crescere Paolone e anche quell'anno lo ricordo con piacere. Poi quando mi confrontavo ogni tanto con Griffith non c'era gara. Bucci è l'allenatore a cui sono più legato: l'ho avuto tanti anni a Livorno, con lui sono cresciuto come giocatore e come uomo, poi mi ha allenato a Bologna e anche negli ultimi anni a livello Master, mi urlava ancora dietro anche quando avevo cinquant'anni, ma Alberto mi dava una grande carica. I tornei Master erano fatti in allegria, si andava ad altre velocità, ad altre altezze, ma Bucci chiedeva sempre il massimo. Anche lui è venuto a mancare troppo presto, persone di cui sentiamo la mancanza. Quando sali le scalette del palasport di Piazza Azzarita è una grande emozione e anche un certo timore, che poi con l'aiuto del pubblico, alla palla a due la paura passa. Finivo le partite con le caviglie nel ghiaccio, ma il mio sogno era giocare portiere in serie A di calcio e allora nei miei tuffi sul parquet imitavo Pagliuca. A parte gli scherzi dovevo in qualche maniera rimediare ai miei limiti fisici e tecnici, non ero altissimo, non ero esplosivo, mi davo da fare in qualche maniera, non arrivando in alto, cercavo di arrivare in basso; non potevo tirare frontalmente perché avevo la mano quadrata e allora questo gancio mi ha permesso di stare sui campi di serie A per vent'anni e in Nazionale, sono stato fortunato. Alberto Bucci e ancora prima Ezio Cardaioli sono allenatori che mi hanno dedicato tempo per insegnarmi questo gancio, non naturale, ma costruito, ripetendolo per ore in allenamento. Ho visto la partita della Final Eight di Coppa Italia della Virtus, mi dispiace per la sconfitta, ma grandi meriti a Venezia, anche se in questo momento mi sembra che Milano abbia una rosa straripante, conosco l'allenatore, li vorrei "gufare", ma penso che quest'anno porteranno a casa trofei. Sono favoriti per il campionato e la Coppa Italia, in Europa sarà più difficile, ma si stanno comportando bene anche lì. Mi auguro di vedere la Virtus vincente da qualche parte, magari in Eurocup. Quest'anno è tutto condizionato dal covid, senza pubblico, ma è importante giocare, anche per portare la pallacanestro nelle case. Sarà comunque una stagione condizionata dalla particolare situazione. Di aneddoti ne ho tanti, la cosa più bella erano le partite di calcetto che il prof. Grandi, preparatore atletico della Virtus e della nazionale, ci faceva giocare prima delle finali: ricordo con l'Italia prima della finale a Barcellona 97. Era un modo di stemperare la tensione. Un'altra volta Bucci prima di una finale scudetto mise su una cassetta, come si usava fare per studiare gli avversari, senza sapere che noi giocatori avevamo messo un film hard, intanto Alberto, di spalle, continuava a parlare. Erano tutti modi per sdrammatizzare momenti di tensione. Komazec era un grande giocatore, ma non era facile venire dopo Sasha, che era il punto di riferimento della squadra. La chimica è quella che ti permette di vincere, poi in un momento importante si chiamò fuori per un infortunio al piede. Vincemmo una Coppa Italia senza Komazec, con Brunamonti in panchina, poi cercammo di recuperarlo per i playoff ma non ci riuscimmo. Era un po' la fine di un ciclo.

La trasmissione completa la trovate su www.radio108web.com/podcasts

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