LAMONICA: HO VISSUTO TANTE FINALI, MA LA "FINALE" E' QUELLA DEL 1998
Oggi, durante la trasmissione “Fiora is on the radio” su Radio Basket 108, Federico Fioravanti ha intervistato Luigi Lamonica, arbitro di esperienza e di livello internazionale. Si è parlato tanto del ruolo dell’arbitro in se’ e, più nello specifico, della carriera dell’ospite.
Come è nata la tua passione per la pallacanestro e come è nata la tua carriera da arbitro?
Io ho iniziato a giocare da bambino a Pescara e ho continuato fino a 16 anni, quando mi hanno chiesto di scegliere tra la carriera da giocatore e quella da arbitro. Mio padre era un dirigente di una squadra di amatori, organizzarono un torneo di minibasket, si dimenticarono di avvisare la federazione, l’arbitro non arrivò e la arbitrai io a tredici anni. Il responsabile degli arbitri mi disse che ero portato e mi offrì di fare il corso. Io andai e, dopo alcuni mesi di direzioni tecniche a Pescara, iniziai il mio percorso professionistico. Era scritto che sarei dovuto diventare arbitro e che a quel torneo si sarebbero dimenticati di avvisare gli arbitri.
Nel 1993 inizi ad arbitrare partite nazionali?
Nel 1993 fui promosso nella lista di A1 e A2. All’esordio facevamo molta A2, ma la lista era unica una volta che eri promosso dalla serie B.
- Quale fu la prima partita che arbitrasti?
Udine-Torino di Serie A2, il cui referto è l’unico che conservo. Uno degli assistenti di Torino era Meo Sacchetti.
Nelle tante partite che hai arbitrato, ne troviamo una che ha scritto una pagina importante della pallacanestro, ossia gara 5 tra Virtus e Fortitudo. Nella coppia arbitrale c’eri tu, giovanissimo, come secondo e primo arbitro era Zancanella. Per un arbitro di 32 anni quali sono le sensazioni ad arbitrare un match del genere?
Quella fu una serie indimenticabile per tutti gli appassionati di pallacanestro. Si sono giocate tutte le partite a Casalecchio, con tutte vittorie esterne tranne gara 5. Per prepararti puoi fare di tutto, ma non arriverai mai davvero pronto. Puoi anche leggere il regolamento tutte le sere. Si giocava un giorno sì e l’altro no e gara 4 andò in differita. Io andai a casa di un mio collega arbitro a vederla, ci chiudemmo in casa e mettemmo i telefoni lontani. Quando ripresi il telefono trovai 48 messaggi di gente che aveva saputo del risultato e aveva saputo della designazione. Io a quel tempo lavoravo in un supermercato e dovevo andare a lavorare, potevo partire tardi per Bologna e cercai un ristorante lontano dalla città. Ci misero fuori dal ristorante e pensavamo non ci fosse nessuno: in realtà c’erano tantissime persone. Ho vissuto tante finali, ma quella è stata la Finale e l’ho vissuta quasi da esordiente. Per me fu la prima grande partita e quando qualcuno mi chiede qual è stato il match più particolare che ho arbitrato rispondo sempre questa. Dopo il tiro da quattro di Danilovic non siamo riusciti a sentirci dagli auricolari.
Dopo quattro anni hai arbitrato la prima Final Four tra Maccabi Tel Aviv e Pana.
Non mi aspettavo di essere designato, perché partecipavano due squadre italiane ed una sarebbe andata in finale. Quando ho ricevuto la chiamata in cui mi hanno designato io volevo chiedere un ingresso per la partita, mentre il responsabile a cui lo stavo chiedendo voleva designarmi. Lui mi disse che aveva chiamato entrambi gli allenatori delle squadre italiane e nessuno dei due disse di no, quindi mi designò per l’altra semifinale, che si giocava a Bologna.
L’Unipol Arena (al tempo Palamalaguti) è un tempio per la tua carriera.
Mi ha aperto tante porte ed è stato fondamentale.
- Hai arbitrato due quarti di finali delle Olimpiadi 2008. Hai notato differenze tra il gioco del quarto tra Croazia e Spagna e quello tra Argentina e USA?
La seconda è stata la più difficile che io abbia mai arbitrato; grande intensità a livello fisico, con tutti giocatori NBA sul parquet. La differenza tra i due roster era evidente, anche se l’Argentina se la sarebbe potuta giocare. Gli americani la misero sul piano fisico, come a voler stancare gli avversari prima della conclusione della gara. Penso di non aver mai visto una partita essere giocata a quei livelli. La differenza tra le due squadre era in ogni aspetto del gioco, ma il match fu di una fisicità incredibile e difficilissimo da arbitrare. Abbiamo dovuto alzare il livello del fallo- non fallo, perché se avessimo fischiato tutto non avrebbe giocato più nessuno; allo stesso tempo dovevamo preservare il gioco e la tecnica dei talenti che erano in campo. Dal primo fischio abbiamo capito che sarebbe stata una guerra e che ogni scelta da parte nostra sarebbe stata determinante.
Hai arbitrato anche la finale del Mondiale tra Turchia e USA, giocata proprio nella caldissima penisola anatolica. Che ambiente hai trovato?
L’ambiente era indescrivibile. In campo c’erano giovani che poi sono diventati mostri sacri della pallacanestro moderna, come Durant e Harden. La tensione è stata simile a quella del derby del ’98 tra Virtus e Fortitudo. E’ stato impressionante il momento degli inni, in cui sedicimila persone hanno cantato quello turco: l’adrenalina che abbiamo provato è stata incredibile.
Da quando ha iniziato al tua carriera, quanto è cambiato il gioco della pallacanestro?
Tantissimo. Io oggi faccio fatica a pensare ad una partita arbitrata da due arbitri, perché un tempo in Serie A1 si arbitrata in due. La pallacanestro era più tecnica e pulita. I migliori giocavano quaranta minuti a partita, adesso quasi nessuno ne gioca più di trenta, perché l’atletismo e la fisicità sono cresciuti. Ad oggi, fisicamente, ci sono dei Carlton Myers anche in A2, mentre quando lui giocava non aveva quasi eguali. Il gioco di Spagnolo è attuale, ma ha la tecnica di un giocatore di fine anni ’90, mi piace molto vederlo.