Il dolore cieco, irrazionale, lancinante l'abbiamo provato tutti. Nella notte di domenica 26 gennaio abbiamo appreso quella notizia che diventava sempre più feroce, nonostante la nostra iniziale incredulità. Kobe Bryant, la figlia Gianna, le compagne di squadre, i loro genitori e il pilota dell'elicottero erano morti. Tutti. "Siamo devastati" è stato il commento di Vanessa, moglie di Kobe e mamma di Gianna, dopo qualche giorno. Ciascuno di noi lo è stato. Come padre e come marito posso solo immaginare e già il solo immaginare mi far star male.

C'era un'altra cosa che non riuscivo ad immaginare, lo ammetto serenamente: la potenza dell'affetto e della riconoscenza della pallacanestro. Italiana e non. Kobe Bryant è stato tra i più talentuosi della sua generazione e del suo tempo. Ha iniziato in Italia a giocare e culturalmente si è legato per sempre all'Italia e a tutti noi. Ha lasciato una traccia tecnica indelebile, irripetibile per certi versi, poi, quando ha capito di non potersi esprimere più ai suoi livelli, si è ritirato: Mamba out. Mamba, questo il suo soprannome, smette. Di sicuro, però, era persona fra le persone. I ricordi di chi muore giovane, per di più insieme alla figlia, da parte di chi l'ha conosciuto in Italia, non possono che essere dolci. Poi scopri che Kobe, anche man mano che diventava un grande campione, come ogni buon compagno di classe, magari non con tutti, i rapporti non li aveva mai persi, esattamente come una persona normale. Poi vieni a sapere che amava fare del bene, a patto che non si sapesse ed infine ti dicono che è stato l'amore per la figlia a fargli venire la voglia di tornare a bordo campo, quel campo di cui una volta era un re incontrastato.

Attonito, addolorato ho seguito tutto quello che è accaduto nel mondo, e in Italia, dopo la morte di Kobe e di Gianna e degli altri passeggeri. Il messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella ci ha rappresentato tutti. I giornali, i programmi tv di tutte le reti, editorialisti noti e meno noti, gli hanno riservato tributi ed onori fino a parlare di cittadinanza alla memoria. I social hanno testimoniato in maniera tangibile e vibrante il rispetto che la gente aveva per lui. Le iniziative delle nostre Leghe e dei club hanno testimoniato l'universalità di Kobe, in definitiva è stato come se tutti avessimo perso una persona cara. Iniziative semplici, dovute, come tenere un minuto di silenzio prima di ogni partita, sono stati vissuti come una manifestazione di appartenenza, oltre che di cordoglio.

I saluti e le iniziative spontanee di alcune amministrazioni comunali così come quelle delle società, fino a diventare vere e proprie coreografie di amore e di rispetto per Kobe, mi hanno commosso e riempito di orgoglio come persona e come presidente della FIP. E per questo motivo voglio ringraziarvi tutti. Avete voluto salutare Kobe con la nostra spontaneità ed originalità, un campione tra i campioni, una persona fra le persone, un italiano nei valori e nella lingua, esattamente come tutti noi.

Giovanni Petrucci

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