I RICORDI DI PICCHIO ORLANDI: NOI SENTIVAMO DI PIU' IL DERBY
L'ex Fortitudo Giampaolo "Picchio" Orlandi, classe 1946, è stato intervistato da Alessandro Gallo sul Resto del Carlino.
Un estratto delle sue parole.
"Tre palloni e tre paia di scarpe. Giocavo nella parrocchia di San Giuliano, in via Fondazza. La squadra era il Leone XIII. Con gli amici di allora, anche se sono passati quasi sessant'anni, ci vediamo ancora, per una mangiata. Era il 1962: mi cercò anche la Virtus. Ma in bianconero
avrei giocato meno. Così scelsi la Fortitudo, un gruppo più giovane.
In parrocchia andarono avanti con il mio acquisto per oltre un anno,
Era la Fortitudo di Lamberti e Parisini, Lucchini e Danielli. Era un altro basket: uno nasceva e moriva, sportivamente parlando, nello stesso club, tranne qualche eccezione. Mica come adesso, cambiano sempre,
ognuno va per i fatti suoi...
Eravamo dilettanti, almeno fino a quando arrivò Nikolic. Lavoravamo e giocavamo. Eravamo gli ultimi a disporre del palasport. Prima di noi c'erano la Virtus, la pallavolo campione d'Italia con il marchio Lubiam. Poi noi. Finivamo dopo le 23
Paolo Bergonzoni e io, quando arrivò Nikolic, eravamo i due vecchietti. Aza fissò due allenamenti al giorno. Io sfruttai un certificato del professor Boccanera – ero reduce da un infortunio – Bergonzoni una cosa simile. Quando rientrammo, Nikolic non fece una piega: ci mise subito in campo. Gli altri andavano a 200 all'ora. Noi a forza di crampi e di massaggi del masseur Balboni. Alla fine dell'allenamento, Paolino si infila negli uffici dirigenziali. Esce dopo qualche minuto. 'Ho consegnato il materiale, io non vengo più, mi dice".
"Un'altra volta ci ritroviamo alla Pallavicini. Corse di 400 metri, riposo, ripetute. Ci guida il preparatore Tom Assi. A un certo punto vedo due porte, anziché una. Mi portano al Maggiore. Mi ribaltano, sento che dicono che dovrei stare a riposo e fermarmi per un po'. Nikolic arriva e mi dici: 'Tranquillo Picchio. Oggi pomeriggio niente allenamento. Domani di nuovo in palestra', era fatto così.
"Soffrivo l'allenamento del sabato: dalle 10,30 al le 12,30 solo tiro. Per me, che in partita tiravo poco, una sofferenza. Insegnavo a scuola: mi metto d'accordo con la preside e mi faccio mettere una bella lezione di ginnastica il sabato, in quella fascia. Mi presento da Nikolic e gli dico che ho fatto i salti mortali per far quadrare insegnamento e allenamenti, ma sul sabato non ho ottenuto nulla. Nikolic comincia a fumare nervosamente – era capace di bruciarne 30 in un allenamento – poi esce e imbocca la strada per
l'appartamento del custode, Amato Andalò. Dopo mezzora torna sorridente. 'Non ti preoccupare Picchio: Andalò ti aprirà
il palasport alle 8,30. Fino alle 10 potrai allenarti con lui'. Mi sono fregato con le mie mani".
"Una delle Fortitudo più belle fu quella di John McMillen. Giocavamo il passing game e avevamo una squadra molto forte: Leonard, Benelli, Polesello, Biondi, Bonamico, Arrigoni e io. E un oriundo come Carlos Raffaelli, che valeva uno straniero. Dovevamo tenere Leonard e insistere con Carlos che, nel giro di pochi anni, avrebbe avuto lo status da italiano. Poi non ho mai
capito perché alla fine non tesserammo Connie Hawkins, che era un fenomeno".
I Derby? "Eravamo i più deboli. Ma con Lamberti in panchina ribaltavamo il mondo. Poi l'anno di Schull e Driscoll. Terry era una prima scelta: appena sbarcato gli chiesero di Gary. 'Non lo conosco' rispose. Facemmo delle gigantografie da appendere nello spogliatoio. Gary rispose da Leone.
Il derby lo sentivamo tanto in Fortitudo . Anch'io che ero uno tranquillo. Una volta mi capitò di stoppare Cosmelli e dopo, nell'impeto, gli urlai in faccia.
Mi sono scusato tante volte. Noi lo sentivamo di più perché c'erano più bolognesi".