Scaricato definitivamente il giorno prima da una storia di sei anni (con una fan di Pozzecco che perse così la possibilità di vederlo un po' di più in campo), ad aprile 2003 mi feci caricare in macchina per una trasferta di Eurolega a Siena. Dove, a fine gara, Ergin Ataman disse più o meno “Andiamo a Barcellona per vincere la Coppa”. Davanti ad una crema catalana (mai dolce più adeguato), due ore dopo, gli stessi amici senesi si prestarono a buttare acqua sul fuoco appiccato dal coach: parla, parla, ma poi...

Di certo, il suo arrivo in Fortitudo dopo il bestemmiatore dava l’idea di immutate ambizioni, visto il curriculum che Ataman portava sul tavolo. Ma se non ci era riuscito l’Altissimo della religione cattolica, a salvare quella truppa, poteva riuscirci il semplice cambiar da Bibbia a Corano? Infatti, le cose rimasero scalcinate, se non peggio, e Ergin si sarebbe fatto ricordare per due caratteristiche. La prima, le sue fughe a Istanbul per presumibili motivi personali tutte le volte che era possibile, la domenica sera. La seconda, il non risparmiarsi quando c’era da insultare i propri giocatori.

“Cavaliero? Non capisco perché non riesca a cambiare le partite, uscendo dalla panchina. Kaukenas lo fa, deve farlo pure lui”, una delle perle. Poi, la guerra personale contro Vascone Evtimov che non sarà stato un fenomeno, ed era sgraziato come nemmeno i centroni della peggior UISP, ma il cuore ce lo metteva e quasi da solo, in Polonia, stava salvando la Effe da una inedita e clamorosa eliminazione al primo turno di Eurolega. Infine, la frase che Erginone usciva ad ogni conferenza stampa, o quasi. “Vi rendete conto che ho un pivot di quarantasei, quarantasei anni? Lo sapete che in Turchia mi prendono per il culo perché ho un pivot di quarantasei anni?”. Certo, Dan Gay non era un under21, ma era stato riportato in Fortitudo più da sparring partner da allenamento che non per costruirci attorno la squadra, però tutto faceva brodo per scaricare altrove le colpe.

Con l’unico alibi del proprio presidente alle Maldive mentre c’era bisogno di cambiare l’inguardabile Edney, alla fine ad Ataman fu fatale una sconfitta contro Milano proprio come era successo a Frates, mentre dietro le scrivanie Martinelli andava e Fernet Sacrati arrivava. Il suo addio venne quasi festeggiato, perché se da un lato la Fortitudo continuava a zoppicare (8-8, con ancora qualche blanda speranza di playoff), dall’altro lato era necessario intervenire: mettendone fuori rosa tipo uno al giorno, il rischio sarebbe stato quello di finire la stagione con in campo lui stesso. Che magari non avrebbe fatto peggio di altri, ma ci siamo capiti.

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