Estratto da: L’Osteria del Basket – Nel bosco non solo mirtilli di Venerdì 07/06/2024

Intervista a cura di Daniele Lanfranchi e Antonio Toselli

Buonasera Zare Markovski. La prima domanda che faccio è su due giocatori delle tue Virtus: Carl English e Christian Drejer, che per me erano, potenzialmente, dei giocatori molto forti. Mi piacerebbe sapere cosa gli è mancato per essere determinanti.

 

English è arrivato da esordiente in Europa, era un rischio mio, ho accettato di avere un rookie. Il problema era che l'asticella era troppo alta per lui, era appena uscito dal college. Dopodiché ha fatto una bella carriera, soprattutto in Spagna, dove ha toccato massimi livelli, facendo bene anche in Lega Adriatica e dovunque sia andato. Perciò era arrivato prematuramente. 

Per quello che riguarda Drejer, lui invece ha avuto una parabola diversa da Carl English. È venuto da Barcellona che l'aveva scelto, appunto, come English, da esordiente. Non gli hanno fatto finire neanche l'Università di Florida, perché erano fortemente convinti che lui ce l’avrebbe fatta. 

Invece… da noi ha fatto delle partite memorabili. Ha aiutato molto in quel percorso della squadra. Purtroppo, grazie agli infortuni, è andato sempre più in giù e, molto presto, ha fermato la sua carriera. Diciamo che erano due storie diverse, di giovani promettenti a livello europeo, che purtroppo non hanno avuto la stessa fine.

 

Finale di campionato. Un po' scontata forse, Virtus contro Milano. Le hai allenate entrambe, ma prendiamo la questione dal lato V. Come avresti preparato la serie e come si prepara una sfida contro Milano?

 

Non avrei niente da insegnare a nessuno su come si preparano le partite, soprattutto quando si arriva in finale, però, secondo me, contro una Milano forte in difesa, bisogna accettare la sfida e controbattere. Loro sono intensi in attacco, devi farli ragionare e lavorare più di squadra, piuttosto che difendere sulla palla. In difesa, invece, se riesci… non è facile, sovrastare Milano fisicamente. L'unica possibilità è quella. Se non riesci, allora devi fare difese collettive, difese a tutto campo. Cioè, devi fare “domande” di continuo. Non è una partita, ma sono molte partite durante 40 minuti e devi fare “domande” di continuo e la controparte deve rispondere. Perché se vai per un po' lento, sono loro che ti fanno le “domande” e lì sei sempre in rincorsa, diciamo.

 

Il fatto che ci siano, praticamente già dall'inizio, due squadre “scritte” che arrivano in finale, può essere un bene, o si rischia invece di fare un campionato solo Virtus/Milano?

 

Non siamo gli unici in Europa con un binomio. I greci, da ormai vent'anni, hanno il loro binomio. La Lega Adriatica da dieci anni. In Spagna… Malaga quest’anno è stata una sorpresa, ma la semifinale comunque era tra Madrid e Barcellona. Perciò i binomi sono frequenti in Europa e io non avrei niente in contrario. È vero, sono le squadre che se lo meritano con gli investimenti; perciò, direi che è una cosa normale.

 

Sempre sulla sfida fra Virtus e Milano. Volevo chiedere una cosa a riguardo gara 1: a un certo punto si è completamente usciti dagli schemi. Napier e Shields hanno vinto la partita. Quando hai dei giocatori del genere cosa puoi dire durante un time-out? Questi si mettono in proprio e provano loro a risolvertela come in gara 1. La gestione (difensiva) di questi giocatori è diversa rispetto a quella degli altri? Come si comporta un coach in un frangente simile?

 

Ma io penso che ci siano sempre due situazioni, due pensieri, tra cui devi scegliere di continuo durante una partita. Cioè, parto da Shields, vogliamo che si metta dentro o vogliamo che Shields si metta fuori? Sei tu quello che deve condizionare l’avversario. Innanzitutto, dove lo vuoi? Perché se gli chiudi una parte, lo mandi dove lui può andare con meno fatica, allora è un discorso. Dopodiché continuano le idee su come difendere da quella parte del campo. Se gli lasci la palla e lui comincia a preparare l'attacco, è tardi. Perciò direi che è quella la difficoltà degli allenatori: devi di continuo fare scelte/scomesse e più ne vinci, più la squadra si sente meglio. Non so se mi sono spiegato…

 

Facciamo una pausa dal campionato, adesso andiamo a farti una domanda che facciamo tutti gli ospiti riguarda l'Eurolega. Sei favorevole all'ingresso di una squadra araba all'interno della competizione?

 

Già dal punto di vista geografico è una cosa anomala. Certamente porteranno investimenti, anche se io ho dei dubbi che nella pallacanestro ad altissimi livelli si possono far quadrare i conti. Quello che portano loro se lo porteranno via pure con le lunghe trasferte, con l'attenzione, con le spese aumentate per tutti e per tutto. Forse i diritti televisivi saranno vendibili più facilmente, ma parliamo di paesi piccoli dove la pallacanestro deve sbocciare. C'è tanta nebbia in quelle scelte che magari alla fine si riveleranno positive, ma ho dei dubbi. Il problema sarà quando ci accorgeremo che la cosa non andava fatta.

 

Parlando di crescita del movimento, ne abbiamo discusso anche con Recalcati la settimana scorsa, è favorevole o meno a tenere i sei italiani referto o, invece, è più favorevole a far sì che le squadre che possono prendere chi gli pare, a prescindere dalla nazionalità?

 

Sei sono tanti. I nostri giocatori, se vogliamo aiutare la nazionale, certamente devono giocare. Però se mi chiedete se lo spettacolo sarebbe migliore con 6 stranieri, Io penso di no. Soprattutto adesso, quando da anni ormai non siamo competitivi con i budget a livello europeo. Una volta eravamo quelli che calamitavano i giocatori. Le migliori 6, 7 squadre erano, magari, tra le migliori 10 in Europa. I tempi cambiano, dobbiamo aggiornarci, ma sempre tenendo presente che i nostri giovani devono giocare. Loro sono il traino del nostro sport. Quando uno è tuo vicino di casa, piuttosto che cugino, uno col quale andavi a scuola, e diventa giocatore, aumenta la “tensione”. Guardate la situazione del tennis con Sinner e gli altri tennisti che abbiamo ora, ormai siamo tutti “infetti” di tennis. Se vogliamo che siano tutti “infetti” dalla pallacanestro, certamente abbiamo bisogno dei nostri ragazzi.

 

Rimaniamo alla questione dei giovani, ritorniamo al periodo in cui Zare era in Virtus. Malagoli, Bonfiglio, Stojkov… Malagoli ce lo ricordiamo tutti perché l'hai fatto entrare in quintetto in un derby, se non ricordo male, fra lo stupore generale. Però poi questi ragazzi alla fine si sono persi. Cosa è successo?

 

Semplicemente sono state le mie “pazzie”. In che senso? Nel senso che erano i migliori prodotti del nostro vivaio. Cioè, come è capitato Malagoli, poteva capitare “Rossi” piuttosto che “Bianchi”. Io avevo idea che, scherzi o pazzie, fossero scelte poco ortodosse, ma la mia idea era far trainare il movimento giovanile. Io ritengo che una società, come Virtus appunto, non debba portare soltanto il risultato della prima squadra, ma produrre giocatori, allenatori… Perché se produci sei valido nell'economia dello sport. Era il mio coraggio, far collegare il settore giovanile con la prima squadra, tutto lì. Che poi qualcuno è arrivato in serie A2 piuttosto che in B1. Era il materiale che, in quel momento, avevamo nel settore giovanile. Ma dopo, sempre dallo stesso settore giovanile, sono usciti Michele Vitali, che tuttora gioca in Serie A, Moraschini, che ha avuto dei lampi anche lui in Serie A… diciamo che l’idea era giusta. Il problema era che in quel momento avevamo quello a disposizione nel settore giovanile.

 

Sulla fine del rapporto con la Virtus, che è stato un po' inaspettato, c'è qualche retroscena che puoi raccontare?

 

Diciamo che anch'io ero sorpreso per come è finito il rapporto che abbiamo avuto con l’allora patron della società. In quei due anni mi è stata data veramente carta bianca per tutte le cose tecniche. Il problema era che, per come me l'ha spiegato all'epoca lui stesso, in fretta abbiamo fatto quello che secondo lui doveva essere fatto in cinque anni. Noi l'abbiamo fatto in due. Lui stesso mi ha detto che non era assolutamente pronto per entrare in Eurolega in soli due anni o per vincere lo Scudetto. Mi diceva: “tu non sai, ma il pubblico, dopo questo, ci crede e ci chiede di vincere lo Scudetto”.

 

Quindi te l'ha fatto passare come che tu fossi troppo in quel momento?

 

Sì, me l'ha fatto passare così, ma niente di più. Magari avremmo bisogno di tre ore per parlarne, per spiegare i dettagli, ma diciamo che magari ero troppo ingombrante in quel momento. Perché tutta la gente riconosceva i meriti miei e della squadra. Ha visto una crescita esponenziale in quei due anni e magari…non lo so, magari attiravo troppa attenzione con quello che abbiamo fatto. Anche delle cose molto, molto coraggiose, come l’allontanamento all’ultimo di Bluthenthal dopo il primo anno. Io li ho preso tutte le responsabilità su di me, ero veramente lasciato al comando… diciamo che è andata così…

 

Fu una grossa delusione, devo dire la verità, ci eravamo illusi di vedere a quei tempi già una Virtus a buon livello, cioè una che potesse migliorare continuamente. Invece ci fu uno stop brusco. Poi nel 2008-2009 la squadra di Boykins, di Ford, di Langford... insomma, fu rifatta una squadra di alto livello.

 

Non dimentichiamo però che anche dopo qualcosa non quadrava nelle scelte e nelle politiche. Dopo quella squadra di Boykins, di Langford e via dicendo, che era abbastanza forte, sono riusciti a retrocedere addirittura. Non promuovendo in prima squadra giocatori validi dalle giovanili, come abbiamo detto, né Moraschini, né Vitali, Baldi Rossi, Tomassini, nessuno. Non hanno avuto l'occasione di continuare la politica di crescita che era avviata. Le scelte certamente erano discutibili. Poi con quella retrocessione ulteriore sono diventate molto chiare. Prima si andava in un “dopo” sereno per i primi due anni (dopo la prima promozione), poi è diventato buio con la retrocessione. Perciò, parlando chiaro, qualcosa si è rotto.

 

Tu hai avuto modo di lavorare sotto tanti presidenti, alcuni più personaggi, alcuni un po' meno, però persone di carattere. C’è qualcuno che ti ha stupito, in positivo o in negativo, o uno che ritieni un buon presidente?

 

Quello che mi ha stupito l’ho avuto al mio esordio in Italia. Nel '91 l’avvocato Dino Milia, a Sassari, è stata una persona che veramente mi ha segnato. Un idolo per me nel suo pensiero, nel suo atteggiamento… Ma già quando dico che era nel 1991, 33 anni fa, vuol dire che i tempi cambiano. E io potrei testimoniare che, da quel punto di vista, cambiano sempre in peggio.

 

C'è una cosa che francamente non conosciamo: i suoi esordi nell’ex Jugoslavia. Da dove è partito? 

 

Io ho rinunciato molto presto, ho giocato un anno anche in A2, poi ho rinunciato per autocritica. Due dei miei coetanei erano meglio di me da giocatori, quindi, all'età di 21 anni, ho iniziato a lavorare con le giovanili. A 28 anni, durante una crisi della prima squadra, me l'hanno affidata. Rischiavamo di retrocedere dalla Lega 2, pur essendo una delle più gloriose società del basket slavo, il Rabotnički di Skopje. Io ho preso la squadra per mano “adesso o mai più”. Quell'anno ci salvammo e dopo altri due anni siamo risaliti in serie A1, vincendo il campionato a tre giornate dal termine. Successivamente ci siamo qualificati tra le migliori 12 squadre del campionato e nel frattempo ho fatto anche da assistente nella nazionale Junior con Bodiroga, Rebraca… quella nata per i Mondiali.

Poi venimmo in Italia per motivi familiari, perché quello fu l'ultimo campionato Jugoslavo, dopodiché si è sfasciato tutto. Siamo venuti con la famiglia per continuare la crescita nella pallacanestro dove avevo già raggiunto ottimi livelli. Ero il più giovane allenatore di serie A.

 

Chiudo la parentesi dell'ex Jugoslavia con una domanda, visto che ho saputo che hai allenato il Rabotnički, volevo sapere se hai conosciuto Lazar Lecic?

 

Sì, sì. Tuttora sono in collegamento con lui. Direi che lui, per quelli che non sanno, è stato l’artefice della pallacanestro in Macedonia e io lo ringrazio. Spesso dico che, se non c'era lui e il suo lavoro, con il Rabotnički, molti di noi avrebbero iniziato la carriera da molto più indietro, invece ci ha consegnato una società per continuare a crescere.

Sono molto contento di quello che sono stato, cestisticamente, in Jugoslavia, ma sono stato ancor più contento del fatto che, quando sono venuto in Italia, non mi riconoscessero il patentino. Ho dovuto fare tutta la trafila come gli altri allenatori italiani. E ho completato, diciamo, una notevole educazione teorica qui. Perciò direi che, da solo, ho preso le migliori cose sia da una pallacanestro che dall'altra. Bello. Essendo caratterialmente fin troppo coraggioso, cercando di aumentare sia il bagaglio tecnico che tattico, che la conoscenza del gioco mio e dei miei giocatori, all'inizio della carriera avevo difficoltà. Soprattutto al ritorno in Italia, quando ad Avelino ero costretto a fare sia le scelte da general manager per motivi economici, sia di allenare in campo. Diciamo che quei tre anni, dal 2002 al 2005, mi hanno completato definitivamente. Dopodiché ho continuato a esaminare, a cercare miglioramenti di continuo, dovunque sono stato. Mi ricordo quell'Avelino dove, tanto per spiegarvelo, c’era una squadra che spendeva all'epoca due volte meno del penultimo budget. Giocavamo con una squadra da 700, 750.000 Euro netti che all'epoca era veramente due volte meno de la penultima. Ci salvavamo sempre, mai all'ultima giornata.

Abbiamo costruito veramente dei ricordi, sia io che i giocatori. Qualcuno, dopo quelle annate, è andato addirittura a fare i contratti milionari tipo Vanterpool a Siena piuttosto che al CSKA, a vincere L'Euroleague e via dicendo.

 

A questo punto ti chiedo, Zare, anche della tua esperienza dell'altra sponda di Bologna.

 

Certamente è stato un dispiacere, perché sono venuto con grande entusiasmo. Era ancora fresca la ferita subita da Sabatini. Mi sono creato un’idea sbagliata perché quella società è esistita un anno, magari due, e poi non è esistita più. Perciò non è neanche quella Fortitudo di adesso, come continuità, figuriamoci di quella che era prima. Perciò è un episodio di grande dispiacere.

 

A proposito di Fortitudo, hai seguito la Lega 2?

 

Diciamo che seguo tutto, di Lega 2 vado a vedere qualche volta l’Urania, a Milano. Perché sono rimasto ad abitare a Milano, ma diciamo che mi dedico molto più al college basketball negli ultimi quattro anni che alla Lega 2.

 

Molto rapidamente sull'Eurolega, hai ritenuto meritata la vittoria del Panathinaikos e un tuo giudizio sull'Eurolega di quest'anno?

 

Penso che il Panathinaikos abbia vinto una partita nell'arco dei 40 minuti, senza ritorno e magari ha sfruttato questo sistema oramai obsoleto, come si dice, dove, in una partita, la squadra più forte è più facile che perda piuttosto che su cinque.

 

Non ti piacciono le Final-Four come formula?

 

No, non mi piace come formula per coronare una stagione intera. Non è giusto. Io sono addirittura per far valere i risultati del campionato regolare anche nei play off, perché vedete che è assurdo?

Cioè, quello che vince, nella stagione regolare, due volte gli scontri diretti, in teoria, perdendo tre a 2, potrebbe aver vinto più partite, durante l'arco dell'anno, di quello che in effetti alza il trofeo. Che non è giusto. Deve vincere il trofeo quello che ha vinto più volte. Non sono due campionati diversi in una stagione (regular season e play-off).

 

Sulle final-four sono d'accordo per un semplice motivo: che dopo una regular season di 34 partite io credo che sia anche giusto fare un play off al meglio delle cinque fino alla finale.

E vai a premiare anche le squadre che sono arrivate in play-off facendoli fare più partite e quindi più incassi. Visto che il basket vive molto sugli incassi...

 

Io sono molto più concreto, farei anche uscire dall'Eurolega la squadra che per tre anni di fila non va nel payoff o non va nei primi 12. Per esempio l’Alba Berlino, purtroppo, non ha avuto negli ultimi tre, quattro, cinque anni, nessun ingresso nel play-off. Non dico che è una squadra materasso, ma poco ci manca. Apprezzo la loro filosofia, giovani, sconosciuti, farli giocare in Eurolega, ma quello lo può fare anche un'altra squadra.

Diciamo che il merito sportivo deve essere apprezzato. Non sono per due gironi perché non puoi fisicamente dividerli per avere la stessa difficoltà. Ci lamentiamo che ci sono tanti infortuni perché la stagione dura più lungo che quella nell'NBA ma allora io sono molto di più per ridurre a 14 squadre, magari ridurre anche il nostro campionato di altre due squadre per risparmiare 6, 7, 8 partite, invece di avere questa situazione di Final Four. In NBA non fanno Final Four. Se prendiamo le idee, prendiamole in toto e poi verifichiamole fra tre, quattro o cinque anni. Ma facciamo qualcosa. Invece di avere squadre materasso, adesso sarà Dubai il materasso per altri due, tre anni magari.

Non lo so. Io la penso così. Io sono per fare le scelte, non stare con le mani in mano a chiacchierare di come prima si stava meglio, piuttosto che adesso. Cerchiamo, sbagliamo, accorgiamoci di aver sbagliato e correggiamo gli sbagli.

 

Sono anche io per la reintroduzione del merito sportivo. Il calcio mai e poi mai si sognerebbe di fare una cosa come l'Eurolega. Infatti la formula della Champions League del prossimo anno probabilmente sarà un successo di quegli enormi, ma il merito sportivo rimane. Il basket ha perso quella forza trainante che aveva alla fine degli anni '70. Il primo sport a mettere il play-off, il primo sport a mettere il doppio straniero… Era uno sport che innovava e poi dopo ha smesso di innovare.

 

Ma il calcio tira perché è semplice, perché è di alto consumo per la gente. Il calcio ha sette regole. Noi invece le cambiamo pure le regole. La gente ormai non sa cosa pensare.

 

Questa è una curiosità mia personale, ti ricordi quando uscì il video online della tua famosa conferenza stampa in cui ti arrabbiasti molto? Mi riferisco ad Avellino. C'era un Il passaggio in cui dicevi che uno non si può lamentare se non è in quintetto se poi fuma un pacchetto di sigarette al giorno. Si può sapere chi era?

 

Eh, Radulovic. Guarda, quell'anno abbiamo fatto l’Eurolega ed eravamo una discreta squadra, siamo usciti per un supplementare perso a Zagabria. Poi ci fu un calo di tensione in tutta la società. Alla fine dell'Eurolega ho scoperto che, io non badavo tanto al mio stipendio, ma ho scoperto che anche i giocatori non prendevano lo stipendio da tre mesi. Era una situazione molto difficile. Abbiamo perso una partita, stanchi da quella Eurolega. Eravamo quarti in classifica, tra l'altro. Dopo di che abbiamo perso contro Cantù. Invece di essere incazzati, ho visto i giocatori raccogliersi, invece di vergognarsi per come ci siamo presentati, anche se eravamo stanchi. Li ho visti raccogliersi al centro del campo per salutare il pubblico. Ma che cosa salutiamo? Abbiamo giocato malissimo. Poi possiamo discutere perché e come. Ma non puoi fare come fosse non successo niente. Salutiamo il pubblico, ma cosa salutiamo? Invece di vergognarci. E lì mi sono incazzato e mi è uscito fuori tutto quello che avevo dentro.

 

Volevo segnalare che Mirza Delibasic fumava un pacchetto di sigaretta al giorno e faceva colazione con la grappa, però giocava benino… Erano altri tempi però.

 

Tu che hai una buna memoria cronologica della pallacanestro Jugoslava, c'era uno ancora peggio, un certo Radny Lomisovic. Era idolo di Kikanović prima e poi di Zeljko Obradovic dopo. Quando non c'era il tiro da tre punti, faceva una media di 42, 43 punti a partita. Un cicciottello, mai giocato in nazionale o quasi. Da lunedì a mercoledì non si presentava ad allenamento perché doveva chiudere tutti i bar della città.

 

L’osteria del basket – Nel bosco non solo mirtilli.

 

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