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Alfredo Cazzola è stato intervistato da Walter Fuochi su Repubblica.

Un estratto delle sue parole.

Lo definirei lo scudetto dell’orgoglio. Di bravi professionisti che a un certo punto sono andati oltre, decisi a non buttar via la stagione, a dimostrare di sentirsi migliori di com’erano apparsi. Bravi loro e grande merito all’allenatore. E anche al presidente Zanetti, perchè quello che è successo in società è servito a mettere tutti davanti alle proprie responsabilità. Ha guidato da solo, ma ognuno dell’organizzazione ha fatto il suo e queste risposte sono sempre belle lezioni di sport. Il resto l’ha fatto in campo un’impensabile condizione fisica, resuscitando gente che aveva appena subito un trauma cranico o era acciaccata per mille malanni. Tutto sparito, andavano il doppio.

Se l’aspettava tutto questo? «Francamente no. Come tutti, credo, dopo troppi alti e bassi. È girato il mondo in quei tre minuti di Shengelia contro Venezia. Da fuori che eravamo, di lì in poi irresistitibili. Battendo tutti i migliori».

Massimo Zanetti s’è preso il secondo scudetto mentre il suo socio Carlo Gherardi usciva di scena. Solo in cima al podio. Adesso però nessuno vorrebbe essere nei suoi panni. Cazzola che farebbe? «Intanto m’aspetterei tanti grazie dalla città di Bologna. Io lo ringrazio qui, e già l’ho detto di persona a lui che ha fatto un lavoro straordinario, sempre al vertice, cinque finali a fila, mettendoci tanti soldi, sfidando fatturati nettamente superiori, in Italia e soprattutto in Europa, dove girano ormai cifre sproporzionate. Ora, ha davanti due strade. Sistemare questa squadra che perderà i suoi assi, ma ha una buona base italiana e facendo un buon mercato resterà in ogni caso una sfidante credibile in Italia. Giocatori ce ne sono, non andranno tutti a Milano, che resta fuori mercato, come mi capitò di pensare anche ai miei inizi, quando mi ritrovaicontro colossi come Benetton, Stefanel, il Messaggero di Gardini, e mi dicevo: qualcuno lo prenderemo anche noi. In Europa non correrei dietro a chi arriva a dare 5 milioni a un solo giocatore».

Sennò c’è un’altra strada… «Sì, un piano B che punti ai massimi, con un progetto non solo sulla squadra e investimento che arrivi ai 40-45 milioni dei budget europei più alti. Lo penso da sempre che nello sport chi più spende più guadagna, mentre ridurre le spese comporta contrazioni ancor più forti dei ricavi. Credo però che questo percorso sia oggi molto lontano. Meglio i piedi per terra e la speranza che Ronci si riveli il Sartori della Virtus».

Gherardi era un socio di peso, per alzare il livello. Sorpreso dalla sua uscita di scena? «Francamente sì. Era convinzione mia, e di tanti virtussini, che Gherardi rappresentasse un asset importante per la società. Partecipava, affiancava, ha contribuito a significativi aumenti di capitale, in momenti in cui le risposte da dare erano in milioni. Ecco, sentirlo ora dichiarare che la sua missione è compiuta mi ha sorpreso. Una missione a termine, pazienza. Ma gli accordi tra imprenditori vanno rispettati e anche davanti a Gherardi ci si deve togliere il cappello».

 

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