Roberto Brunamonti, ex capitano Virtus, è stato intervistato da Salvatore Maria Righi sul Corriere di Bologna.

La possiamo ancora chiamare Capitano? In realtà ormai vivo lontano, vedo le cose un po' da fuori. Ma non c'è bisogno di dire che la retrocessione è stata un grande dispiacere, specialmente in un campionato con una formula che ne prevedeva una sola. Onestamente devo anche dire che non me l'aspettavo. Anche il fatto di aver puntato su un ottimo giocatore come Allan Ray, che però è stato praticamente sempre assente, penso abbia influito sull'esito finale.

Catastrofico. Sicuramente non è un momento molto alto per la Virtus, ma in tanti anni di storia di un club può capitare di avere queste fasi. L'importante è cercare di farla tornare prima possibile dove merita.

Mica facile, cara leggenda vivente. È cambiato tutto il mondo, non solo quello dello sport. È cambiata l'economia mondiale, ci sono stati stravolgimenti tecnologici. La dimensione economica di Basket City ormai non è più immaginabile, adesso devono andare a posto una serie di tasselli come la proprietà, gli sponsor e più in generale il panorama imprenditoriale locale.

Ma i soldi non sono mica tutto. O no? Certo, la passione c'è sempre e, quella non cambierà mai, la Virtus non è seconda a nessuno, almeno in Italia. È un patrimonio della città intera, un collante tra appassionati di generazioni diverse, anche se mi sembra cambiato molto in questi ultimi 15 anni anche questo senso di appartenenza: ora si può dire sia una rarità

Detto da lei che è uno degli ultimi uomini-franchigia. Allora dobbiamo rassegnarci ad arrotolare le bandiere? La mia storia ormai non è più proponibile, è cambiato il modo di concepire lo sport professionistico. Adesso è cresciuto notevolmente il potere del giocatore, mentre prima era naturale cercare di restare in un posto. Ma non da questo ne farei derivare la crisi dei club e del basket, anche se ai tifosi piacerebbero i giocatori simbolo.

Ma la Virtus, lo hanno detto suoi titolati ex compagni, ha saputo costruire tenendo sempre un nucleo forte. Quella Virtus era il prodotto di un lungo lavoro costruito su un nucleo forte di giocatori ma adesso non mi sembra ci sia più la volontà di fare questa programmazione. O meglio, puoi farlo se quando vinci e se hai potere economico. Da noi lo fa Reggio Emilia che ha un progetto specifico legato agli italiani. Ma direi che non è nemmeno un problema solo del basket, se penso alla fatica che fa la Juve a tenere uno come Pogba: il fascino non basta più, ci vogliono anche soldi e ce ne vogliono tanti.

C'è chi dice che bisogna fare tabulare rasa, ripartendo da un bel gruppo di giovani. Puoi anche puntare su un nucleo di giovani promettenti, ma bastano due o tre partite perse che cominciano le contestazioni, specie in questo mercato aperto di continuo, con l'impazienza del pubblico e il potere assoluto che hanno i procuratori. L'idea è molto bella, ma il tema è: la Virtus può farlo? C'è la forza di aspettare i giovani e di farli crescere, senza brontolare quando perdi? Di solito succede il contrario e quando presenti un progetto così lo applaudono tutti, ma poi hanno da ridire appena si comincia a perdere. Se hai i giovani e perdi, ti mangiano vivo.

Quindi lei cosa propone? La mia idea è un po' romantica, lo dico subito e parlo da appassionato e da amante della Virtus. Io ripartirei da una persona che, non so per quale strano motivo, si appassioni all'idea di riportare in alto la Virtus, ce l'abbia nel cuore, che sia un'azienda o un singolo imprenditore, e che investa nel progetto in modo significativo. Prima di tutto c'è il budget perché ormai dappertutto funziona così. Anche se si dovesse trovare qualcuno disposto a investire, con i diritti tv inesistenti e pochi ritorni nel breve sarebbe quasi a fondo perduto

VIRTUS, MARCO SPISSU PRIMO ARRIVO?
PESARO - FORTITUDO SUPERCOPPA 2001, PAGELLE E STATISTICHE