I RICORDI DI PEPPE POETA A CANTIERI APERTI 365
Continua la sua avventura Cantieri Aperti 365 e questa volta lo fa tornando sul parquet con uno dei giocatori più effervescenti del nostro basket, Peppe Poeta, playmaker della Pallacanestro Reggiana.
“In questo periodo mi sono tenuto in forma, a 35 anni, è fondamentale per continuare a giocare e poi ho coltivato la mia passione per l'economia e la finanza. Ho avuto anche la compagnia di Gigli a Reggio Emilia, era venuto per studiare da coach ed è rimasto bloccato qui, devo dire che è un ottimo cuoco”.
La “sliding door” della carriera di Poeta ha una data precisa, 6 novembre 2005, il ventenne spacca il big-match di B della sua Veroli contro l’allora imbattuta Forlì con 51 punti: “Penso davvero che quella partita abbia influito sulla mia carriera futuro. Non avevo mai avuto gli occhi addosso delle grandi squadre, non avevo mai fatto una presenza con le nazionali giovanili. Da lì qualcosa è cambiato. Ho fatto una buona stagione e poi l'anno dopo ho avuto la prima possibilità di Serie A a Teramo iniziando il mio sogno. Ero il cambio di Woodward, ma nelle ultime giornate divenni anche il titolare e ci salvammo. Da quel momento 15 anni di Serie A, cosa chiedere di più?”
Nella sua carriera anche un'esperienza in Spagna con Vitoria e Manresa: “Fu fantastico, la consiglio ad ogni giovane che ha la possibilità. Giocare all'estero ti fa crescere molto, conosci un punto di vista differente, tecnico ed umano, e ti aiuta anche a capire di più gli stranieri quando vengono in Italia. Hai anche un po’ di pressione in meno dall'ambiente, anche se poi quando si alza a palla a due è davvero tutto uguale”.
Da quello “scugnizzo” che correva in ogni luogo del campo a playmaker capace anche di mettere in ordine la squadra, il ruolo di Poeta si è evoluto nel tempo: “Devi fare anche di necessità virtù quando le gambe vanno di meno (dice ridendo, ndr). E’ imprescindibile essere pericoloso nel ruolo ormai, devi sempre creare vantaggi e marcare spesso gli avversari da cui parte il gioco, anche se ovviamente devi avere capacità di adattamento, perché è molto diverso fare il play a Teramo con 15 possessi a partita o il play della Nazionale o il cambio al Baskonia. Ti devi adeguare con la consapevolezza delle tue capacità”.
Partendo sempre dal presupposto che: “Nessun allenatore ti toglie dal campo se fai 3 cose buone. Sono sempre stato molto elastico con le scelte dei coach, molto severe con me stesso. Parto dall'idea che se ho giocato poco è perché avrei potuto far qualcosa meglio. Sono stato allenato da coach del calibro di Messina, Scariolo, Banchi, Pianigiani, Larry Brown, difficile chiedere qualcosa di più”.
Poi inizia il momento dei ricordi speciali, a partire dalla squadra in cui è venuto fuori il Poeta migliore: “Quell’anno che arrivammo terzi a Teramo fu incredibile, poi avevamo giocatori come Moss, Brown e Carroll che giocavano molto senza palla, quindi io la gestivo tantissimo e loro si facevano trovare sempre pronti. Memorabili fu anche un anno in Virtus, con Angelo Gigli. Al Baskonia fui molto a mio agio, ma era facile, dovevo praticamente solo passare la palla, giocavo con grandi campioni. E poi anche l'anno di Torino, abbiamo vinto la Coppa Italia, ma mi lascia l'amaro in bocca, saremmo potuti anche arrivare alla finale scudetto con quella squadra”.
Proprio con la squadra della Città della Mole la partita del cuore: “Quella finale di Coppa Italia ha un posto speciale nei miei ricordi. Tanti minuti in campo, un ambiente stupendo, 4000 torinesi in trasferta, una festa unica”. E di quella squadra ci sono infatti anche due protagonisti nel suo quintetto di compagni di squadra all-time: “Al di là di quelli della Nazionale, direi McIntyre, Koponen, Patterson, Nocioni e Mbawke”.
Infine dai tempi di Teramo due ricordi particolari: “Jaycee Carroll ha fatto una crescita incredibile, ai tempi sapeva solo tirare, ora è un giocatore chiave in Eurolega, mentre Nikoloz Tskitishvili forse quello che non è esploso mai. Arrivò a Teramo dopo anni di NBA, ma ormai gioca in medioriente da un decennio”.
Per chiudere il suo pensiero sullo sviluppo dei giocatori italiani: “Le regole possono aiutare, ma vanno strutturate, posto che comunque un allenatore non toglie mai dal campo uno che produce. Il problema per i nostri ragazzi è quel tempo che va dai 18 ai 22 anni perché non sono pronti per la A, ma nelle minors comunque progrediscono poco, mentre al College negli USA si gioca con responsabilità davanti a 15000 persone. Farei una distinzione di regole, però, solo tra americani ed europei in generale, perché in realtà con un serbo o con un tedesco abbiamo le stesse occasioni formative”.
Prossimo appuntamento con Cantieri Aperti 365 mercoledì 10 giugno alle ore 19.30.