Marco Belinelli è stato intervistato dal Corriere della Sera.
Un estratto delle sue parole.

Un boicottaggio simile non c'era mai stato prima. Solo Bill Russell nel '61, ma era tutt'altra cosa. Vista dall'Italia, magari è difficilmente comprensibile, ma dalla bolla è tutto molto più chiaro. La questione è davvero pesante.
Che cosa ha scoperto nella bolla? Niente di più di quello che già sapevo vivendo in America. Ma con calma le cose si vedono più chiaramente.
Gioco in NBA da 13 anni e vorrei continuare a farlo. Essere un giocatore mi ha permesso di conoscere realtà molto diverse. Poi vedi certe immagini, leggi di certi episodi, e ti rendi conto che tutto è molto diverso da come lo vedi da lontano.
Per esempio, alcuni miei compagni mi hanno raccontato di episodi di cui sono stati protagonisti loro malgrado. E solo a causa del colore della loro pelle. Ed essere stelle del basket non li ha aiutati.
Sono racconti privati, quindi non starò qui a spiegarli. Però capisco perché se sei afroamericano hai paura della polizia. Ci nasci, con la paura della polizia. E noi bianchi non possiamo capirlo.


Le piace una Nba così politicizzata? Credo che lo sport abbia un potere enorme. Noi atleti dobbiamo essere i primi ad amplificare certe storture attraverso le nostre piattaforme. I confini non esistono più. Lo abbiamo visto con George Floyd, quando tutto il mondo si è inginocchiato. Un poliziotto che spara nel Wisconsin è anche un problema nostro, non solo del Wisconsin. Noi sportivi abbiamo un peso: dobbiamo sfruttarlo».

LeBron James - che si è schierato apertamente contro Trump - potrebbe indirizzare la campagna elettorale americana. Io non voto negli Stati Uniti, non mi riguarda direttamente. Invece mi riguarda il razzismo: non è un problema politico ma sociale. Non possiamo coprirci gli occhi e fare finta che non accada nulla. Ci sono cose più importanti di una partita di basket.

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