Nella primavera del 2009, Alex Finelli era un allenatore che aveva dimostrato (se mai ce ne fosse stato bisogno) che in serie A1 ci poteva stare eccome, con due buone stagioni a Montegranaro – ricordate la famosa partita rigiocata, al Paladozza? Ecco. – e rampa di lancio, se così si può dire. Ma, quando venne chiamato dalla Fortitudo, decise di non stare ad ascoltare più di tanto le voci di dissesti economici, ma accettò perché si sentiva in debito verso il sodalizio che gli aveva dato una professione, anni e anni prima. La riporterò in A1, pensò, e anche quando la Effe venne (generosamente) cacciata in B1 titubò senza però venire meno a quella specie di patto interiore. Anche se la situazione era assurda, con il colpevole del tracollo che restava in sella, e con l’aver capito che, insomma, di soldi ne giravano pochi. Almeno non a video. Finelli garantì che avrebbe fatto quasi da garante della situazione, e che non avrebbe mai nascosto qualsiasi ritardo nei pagamenti. Ritardi che inevitabilmente arrivarono, e che Alex non nascose: qualcuno, chissà, ricorderà l’agghiacciante pomeriggio in cui la squadra decise solo all’ultimo momento di partire per l’Umbria, per giocare (e vincere) la Coppa Italia, non prima di essere passata dall’ufficio del Faraone Magno. Poi, come andò quella stagione lo sappiamo: vittoria nel campionato, meravigliosa festa finale, tutti consapevoli, comunque, che la cosa non avrebbe avuto un seguito. E Finelli felice, ugualmente, pur pensando che aveva lasciato la massima serie per scendere, inutilmente, di due categorie.

Perdicchiato il contatto fisso con la serie A, dal 2010 in poi la sua carriera è stata di alti, bassi, ma sempre coerenza. Come andare a Reggio Emilia, proprio all’alba dell’epoca che avrebbe portato la Reggiana ai massimi livelli, e salutare la baracca per solidarietà con il preparatore atletico Renzo Colombini, scioccamente accusato di essere la causa del non buon inizio della stagione. Se va via lui vado via anche io, disse, e così fece. Poi, l’anno e mezzo in Virtus, uno dei tanti ex Fortitudo finito alla corte di Claudio Sabatini, facendo benino all’inizio (e restando abbottonatissimo in quel settembre dove si parlava più di Kobe Bryant che non di basket giocato) con il raggiungimento dei playoff, e meno bene l’anno dopo, con il siluro. Dopo di che, altri alti e bassi, con l’ennesima fregatura presa da un proprietario (la Forlì di Max Boccio!) e la necessità di ripartire dal basso.

Sarebbe esagerato pensare che quella chiamata della Fortitudo, con risposta arrivata più dal cuore che non dalla testa, sia stata una specie di boomerang che gli ha cambiato la carriera. Ma, ad ogni modo, è un peccato che la prima volta di Finelli contro la “sua” Effe arrivi lontano dal Paladozza. Perché, davvero, una ovazione se la meriterebbe, da hombre vertical come è sempre stato. Come capitò anche decenni e decenni fa, quando da giovanissimo, sulla panchina di una succursale della Fortitudo, allenò contro il Corticella dello scrivente. In una palestra resa impraticabile da bidelle sbadate che lavarono il pavimento prima di una partita, facendo diventare l’area della sua squadra una specie di acquitrino, con annessi e connessi scivolamenti. Il Corticella vinse, con clamoroso e casuale canestro dello scrivente: lui non brontolò (ma si sarebbe poi potuto fare ricorso in una partita di dodicenni?), e al ritorno convertì quel 64-61 per il Corticella in un 98-24 per la sua squadra. Un applauso.

SEGAFREDO ZANETTI, PARTNERSHIP COL TORINO FC
BIGNAMI CASTELMAGGIORE - UPEA CAPO D'ORLANDO 93-91