Uno a uno e palla al centro. Come nel fruttuoso 2000, e come negli infausti 2003, 1998, 1997 e, soprattutto, 1996. La prima sconfitta non si scorda mai, si può dire, e per questo il popolo Fortitudo vive giorni di tremori interiori pensando a corsi e ricorsi storici: gara 1 vinta in casa, gara 2 persa fuori, proprio come in quel maggio di nove anni fa. E, se vogliamo continuare a farci del male con cabale, anche in quella stagione gli scontri della regular season avevano visto Bologna imbattuta.

Ci sono però delle differenze, almeno per quello visto sul campo: illo tempore, la Teamsystem sudò più delle proverbiali sette camicie, per portare a casa il suo punticino casalingo, prima della tritata milanese; questa volta, la vittoria Climamio di mercoledì è stata senza discussione alcuna. E’ una serie nata con caratteristiche ben precise, almeno per quanto visto finora: fattore campo predominante, intanto. Mai in vantaggio Milano al Paladozza, idem con patate per la F ad Assago. E punteggi bassi. Che sia per difese arcigne, o per attacchi passati da temperini assassini, si discuterebbe del sesso degli angeli. Ma dall’inizio delle semifinali l’highest di squadra è un comunque arido 82 munto dalla Benetton, gara 3 contro l’Olimpia.

Ritmi bassi, favorita Milano, dice l’opinione pubblica, anche se la Fortitudo romana per far uscire il 2 in schedina non fu costretta a punteggi subsonici. Però è facile, dopo queste prime due battute, esaltarsi dopo la prima e deprimersi dopo la seconda. Bologna, invero, ha dominato un quarto su otto, galleggiando nei tre successivi casalinghi e boccheggiando – senza comunque annegare mai – davanti ai millantamila di Assago. Si parlava di due squadre menomate: si parlava, appunto, perché vedendo la grinta prussiana di Schultze pochi, in casa Olimpia, si staranno leccando le ferite lasciate dalla bua di Fajardo.

Diversa la rumba nel mondo bolognese: con Vujanic fuori, la coperta si è dimostrata non sufficiente, davanti alle emergenze del campo. Sarebbe poi facile sparare addosso al Rombaldoni di questi playoff, guardando le cifre: 6 partite, 3 punti totali, 1/15 al tiro, 12 perse ed un –11 di valutazione che dice molto. Che la primavera fortitudina di Rombaldoni non sia gemmata, lo si era visto: ma il giocatore non può essere questo. A Jesi, pur senza diventare idolo della folla, l’azzurro era andato in valutazione negativa 2 volte in 22 partite; qui si viaggia a una su due. Dicevamo: non è il momento di lagnarsi, né tantomeno – come sentito a Bologna – disapprovare ogni suo ingresso in campo. Tafazzi ha già incrociato tante volte la sua strada con quella della Fortitudo, e distruggere ulteriormente il morale chiaramente sotto coperta del giocatore non è la via per recuperarlo.

La gara di Milano ha detto però anche altro: che con il Romba nei primi 5, la F ha poi fatto pari e patta a quota 10, quindi il pianista non va impallinato solo sulla (s)fiducia. Ha detto di un Ruben Douglas sottotono, un Bagaric piallato, e un Basile con disperato bisogno di compagnia, sia nel portar palla che nel muovere il tabellone. Ma ha anche detto di un Rancik che, almeno in attacco, sta tornando ai livelli di inizio stagione, e di un Belinelli dalla determinazione da diffondere a tutto il resto della banda.

Quello che va ricordato, però, è che c’è un fattore campo da conservare, soprattutto, e che questo basterebbe per far dire alla sarta cuci-scudetti “oh, stavolta ce l’avete fatta”. La Climamio non ha mai realmente rischiato di perdere, nella propria cuccia, in questi playoff. Ed è sul coltello da tenere tra i denti – possibilmente solo in senso figurato, viste certe manovre di wrestling viste sul parquet – fin da domani che Bologna può e deve costruire intanto il 2-1; poi, a gara 4, si penserà dopo il 40’.

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GARA 4 MILANO-FORTITUDO, IL PREPARTITA