Marco Calamai è stato sentito da Enrico Schiavina per il Corriere di Bologna. Un estratto dell'intervista.

"Già dieci anni dalla nascita della Fortitudo 103? È un ciclo lunghissimo, è successo di tutto, e non tutte cose da buttare ma anche di belle, va detto. La risalita, e poi tre anni di serie A, impensabili in quel giugno 2013: non avevamo un euro che fosse uno. Altra cosa storicamente da ricordare: la Fossa fece l'abbonamento al buio, in massa, quando nemmeno si sapeva che campionato avremmo giocato, solo così riuscimmo a partire. Era iniziato tutto molto prima, con Sacrati, a un certo punto la frattura sembrava insanabile, pensai che in quel ginepraio non mi conveniva metterci mano, ma anche che ero l'unico che poteva farlo. Mi resta il ricordo dello stress, della fatica tremenda, infatti presto me ne andai. Ma anche il grande orgoglio di esserci riuscito.
Quest'anno molte partite inguardabili, fatico a capire come si possa dire che si è fatto il massimo. Poi Dalmonte, che con la salvezza due anni fa aveva fatto un miracolo, è rimasto a dispetto dei santi, forse per puro spirito di servizio. Non ha avuto Banks, e Candussi solo di striscio, oltre a un mare di infortuni, ma ai playoff in qualche modo ci è arrivato.
La telenovela societaria? Non ci entro. Registro solo una grande voglia di cambiamento, anche il calo di spettatori nei playoff mi pare un segnale chiaro. Non so come andrà, dico solo a chi deve uscire di chiedere quanto è giusto, a chi deve entrare di farlo con soldi veri, se no lasciar stare. Mi sforzo di pensare a qualcosa di costruttivo. Vorrei provare a ricomporre, dire qualcosa che sposti l'attenzione sul fine ultimo, che per tutti dovrebbe essere il futuro della Fortitudo, che tutti amiamo. Possibile che non si trovi un punto comune? Quando ci si lascia, anche se non si va più d'accordo, magari resta una briciola di affetto"


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