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(Foto Mauro Donati)
(Foto Mauro Donati)

La nostra lunga intervista ad Attilio Caja.

In novembre sei tornato in Fortitudo.  La voglia di tornare è stata superiore al timore di doversi giocare la stagione con una squadra non tua? “Mi è capitato spesso di subentrare a stagione in corso in squadre da mettere a posto e sono sempre riuscito a fare bene. Io ero già d’accordo con Napoli, ma dopo l’incontro con Tedeschi, il modo in cui mi ha parlato, e soprattutto il ricordo dell’ultima partita dello scorso anno, la commozione davanti ai tifosi, mi hanno fatto fare una inversione ad U clamorosa. A posteriori è stata una scelta giusta, e sono contento anche perché la stessa Napoli si è salvata. L’accoglienza alla prima partita dal mio ritorno, con Livorno, è stata una delle più belle pagine della mia vita sportiva, indimenticabile, e questo vale più di qualsiasi altra cosa. La decisione è stata giusta. Dal punto di vista tecnico, abbiamo fatto un ottimo inizio prima di un passo indietro, verso marzo-aprile, che ci è costato la posizione in classifica alla fine della regular season. Nei playin e playoff, poi, poco da recriminare: abbiamo finito in modo dignitoso battendo Pesaro e combattendo con Cantù - la squadra favorita per la promozione - fino alla loro spallata decisiva, arrivata quando non ne avevamo più e finendo comunque con due vittorie in casa, cosa che lascia un sapore agrodolce”

Anche nel periodo delle vittorie, nel parziale di 12-2, ammonivi spesso che non vedevi in settimana cose per cui essere ancora più ottimista. “Non vedevo la giusta ferocia e la giusta forza mentale, che ancora più di quella fisica sono fattori determinanti per essere una squadra solida. Quando puoi vincere di 15-20 devi vincere di 15-20, e io vedevo partite in cui ottenuto il massimo risultato con il minimo sforzo ci accontentavamo. Speravo che il lavoro potesse migliorare la forza mentale, la voglia di soffrire per stringere i bulloni, ma è mancato lo step decisivo. Quello cioè che ti fa vincere le partite in trasferta, perché in casa l’extra te lo dà il pubblico, ma fuori casa lo devi trovare dentro di te”

Parlare di promozione non ha messo troppa pressione al gruppo? “Vedevo che la squadra era calata mentalmente, ed era necessario alzare l’asticella per evitare ulteriori rallentamenti. Non dovevamo accontentarci per aver recuperato in classifica, non volevo che i ragazzi credessero di essere già sazi, c’era bisogno di spingere un po’ di più dato che i risultati portano al rilassamento”

Alla fine il rallentamento è stato più fisico o mentale? “Entrambe le cose. Ed è normale, quando passi una intera annata a rincorrere, per un motivo o per l’altro, tra cambio allenatore e i tanti infortuni. Sono arrivato dopo 11 partite e un record di 4-7, abbiamo corso tanto ma quando devi recuperare spendi il doppio delle energie, come un corridore che buca la gomma e magari dopo cade. Deve fare più fatica, e questo lo paga sia mentalmente che fisicamente. E i ragazzi si sono impegnati, ma alla fine lo hanno pagato”

Lo scorso anno dopo certi errori ti ‘mangiavi’ i giocatori, quest’anno in panchina sei sembrato più calmo. “Lo scorso anno la stagione iniziò a metà agosto, per cui c’era stata una preparazione mirata e i giocatori avevano avuto il tempo per assimilare tutti i miei insegnamenti. Ed era una squadra con molti giocatori non abituati ad un palcoscenico come il nostro, per cui rischiavano di cadere in errori facili se perdevano la concentrazione o l’attenzione, mancando loro un livello di talento particolarmente alto. In questa annata ci è mancato il precampionato, e non potevo pretendere che i ragazzi con pochi allenamenti e le partite in mezzo capissero al volo quello che l’anno scorso aveva necessitato di un lavoro di mesi. A questo aggiungo che c’erano giocatori con un altro tipo di esperienza, e dopo un loro errore non c’era bisogno che io aggiungessi il carico da undici. In teoria avevano maggiori qualità tecniche, e dovevano essere loro a capire cosa fare senza che dovessi intervenire sempre io a ricordarglielo. Chi ha meno qualità non deve distrarsi, perché se vali sei è un attimo scendere a cinque, mentre se vali sette dovresti sapere come fare per restare sempre a galla”

Ci sono stati problemi, con Freeman? “Freeman è un giocatore molto impegnativo, durante la settimana. Già lo era stato l'anno scorso, ma era in una squadra diversa, con tanti esempi positivi – in particolare Ogden – e in quel contesto eravamo riusciti a farlo funzionare bene. Quando sono tornato ho rivisto lo stesso Freeman, con le stesse difficoltà, ma in una realtà diversa e un Gabriel, accanto, che non è Ogden"

A proposito di Gabriel: tu lo avresti preso? “Sarebbe ingeneroso giudicare chi lo ha scelto, ma non è nemmeno corretto buttargli la croce addosso. Non posso dimenticare le partite in cui è stato decisivo, penso a Pesaro nel playin o a gara 3 con Cantù, e nemmeno il fatto che sia stato fermo a lungo per infortunio. Poi, se mi viene chiesto se lo terrei, diciamo che ora cerco un giocatore con caratteristiche diverse”

Visto come gli infortuni hanno accorciato la squadra, l’uscita dalle rotazioni di Battistini non era evitabile? “Quando è rientrato Gabriel per lui non c’è stato più posto, ma avevo già tre giocatori (Gabriel, Mian e Aradori) per due ruoli. Noi quest’anno abbiamo tenuto spesso in difesa, a rivedere le partite perse ho notato principalmente errori in attacco, laddove negli ultimi quarti abbiamo fatto fatica a fare canestro. E offensivamente non è che Battistini potesse darmi più di quanto non mi dessero gli altri giocatori: ci fossero stati problemi difensivi sarei ricorso a lui, ma in attacco era quello con minori qualità, senza dimenticare che comunque i minutaggi dei titolari non sono mai stati particolarmente elevati. E questo senza nulla togliere ad un giocatore che in allenamento ha sempre avuto la giusta attitudine professionale: encomiabile fino all’ultimo giorno, esemplare anche senza giocare. Se mi chiederanno informazioni su di lui avrò solo parole positive. E aggiungo una cosa: nella squadra dello scorso anno, al posto dei pari ruolo Sergio e Taflaj, avrebbe avuto spazio e sarebbe stato utile”

Un qualcosa su cui fare autocritica? “Tutto è migliorabile. A parte il pubblico che è sempre stato il migliore in campo e la società che ha sempre fatto di tutto per aiutarci, tutto lo staff (dal manager, allo staff, ai giocatori) poteva fare di meglio. Ne prendo atto, anche io cercherò di crescere”

Ora, la ripartenza. “Avendo Fantinelli e Bolpin è già una ripartenza più facile, e lo facciamo convinti di loro e non perché abbiano un contratto. In più occasioni ho speso buone parole per Fantinelli, l’ultimo ad arrendersi anche davanti a problematiche fisiche. Ha sempre fatto il massimo degli sforzi, difendendo su avversari pericolosi, portando palla e giocando a volte in post basso. E la bomba decisiva in gara 4 con Cantù è stato il giusto premio, perché i canestri non si segnano con la tecnica ma con il carattere, come ha dimostrato anche Gabriel in gara 3 dopo aver chiuso il primo tempo con un brutto errore e tornando in campo con la giusta aggressività. Su Bolpin posso dire che in questi due anni è il giocatore che ha avuto maggiore minutaggio, a prova di quanto goda della mia fiducia”

Che mercato sarà? “Il punto di partenza sarà il ruolo degli stranieri. Vorremmo un lungo, un 4-5 che non sia né solo un tiratore né un uomo d’area, ma che abbia una doppia dimensione di punti e, soprattutto, rimbalzi. Poi un esterno che in certi momenti ci tolga in certe occasioni le castagne dal fuoco, dato che quest’anno in attacco non siamo stati precisi nella esecuzione dei giochi come nella stagione precedente. Vorrei un giocatore che possa finalizzare così come aiutare i compagni, come lo sono stati McGee, Hickney o Robinson: in attacco a volte serve iniziativa individuale, il sapere battere l’uomo. Due anni fa scegliemmo due lunghi stranieri perché, iniziato il mercato a fine luglio, non c’erano lunghi italiani competitivi, stavolta cercheremo di fare in altro modo. Ma ho abbastanza esperienza per sapere che il mercato cambia di giorno in giorno, parti con un tipo di idee e poi sei costretto a cambiarle. Una volta individuato il ruolo degli stranieri, il primo passo successivo sarà trovare italiani che si possano inserire nei ruoli vacanti in base alle caratteristiche dei primi"

Aradori resterà? “Per ora non è stata presa nessuna decisione, né in un senso né nell’altro. Ripeto, nel mercato bisogna sempre stare attenti a tutto, senza bocciare nessuno a prescidere perchè magari se non riesci a percorrere la strada inizialmente scelta poi devi tornare indietro e vanno fatte valutazioni che inizialmente avevi lasciato perdere"

Si cercherà di ringiovanire il roster? “La squadra dell’anno scorso non era poi così vecchia, forse il solo Sergio, a parte chi aveva contratto, era avanti con gli anni. Quella di quest’anno non l’ho fatta io. Io voglio giocatori di energia, con carriera ancora ascendente e voglia di crescere e migliorare. L’obiettivo è quello di essere promossi, dovremo iniziare il campionato sapendo che dovremo vincerlo, per cui c’è bisogno di giocatori tarati per vincere e non potremo permetterci scommesse. Voglio gente che faccia squadra, perché con giocatori permalosi tolgono punti in classifica, ricordando che quelli affermati piacciono a tutti. E sapendo anche che l’età anagrafica lascia il tempo che trova, oltre al fatto che tra ventenni e trentacinquenni ci può essere una via di mezzo”

Una ultima cosa. Niang, perché due anni fa non venne tenuto? “Quando sono arrivato la sua esperienza si era già conclusa. Mi è stato detto che aveva avuto problemi fisici, e che non era rimasto contento del modo in cui era stato seguito e gestito”.

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