Ecco, nella partita contro la Vanoli abbiamo avuto un’idea precisa di quello che, non ci si fosse messa di mezzo la malasorte, era il progetto di Giorgio Valli e del suo staff all’inizio della stagione. Quello che avremmo potuto vedere se fin dall’inizio tutti gli uomini di questa Virtus avessero potuto marciare con la giusta condizione. In quell’idea di partenza, là sotto i tabelloni c’era il Dexter Pittman che abbiamo visto ieri sera, e molto bene nelle ultime uscite di Obiettivo Lavoro: concreto, preciso, devastante, immarcabile. In una parola, un lusso assoluto per il campionato italiano.

Partito con l’handicap di un infortunio che gli ha rubato buona parte della preseason, il centrone texano è cresciuto prepotentemente di condizione, diventando quello che società e staff tecnico si aspettavano, un pericolo pubblico, un gigante dell’area pitturata.

“Ho trovato il passo giusto”, sorride il ragazzone di Rosenberg, “e ci ho lavorato sopra tanto in questi mesi. Non ho lasciato nulla al caso, sono venuto qui perché sentivo intorno la fiducia dell’ambiente, coach Valli mi ha voluto fortemente, mi ha reso parte importante del suo progetto, e questo un giocatore lo sente. Mi sto impegnando anche per dimostrargli che aveva fatto la scelta giusta”.

Come è successo a tanti giocatori giovani, italiani e d’oltreoceano, un giorno anche Pittman, riguardando alla sua carriera, potrà parlare del lavoro con Valli come di uno spartiacque, o di un cambio di ritmo.

“Con questo staff tecnico si lavora sodo in palestra. Si cresce. Sono allenamenti intensi e proficui, se li segui con determinazione a un certo punto i risultati li vedi, eccome. Io non ho mai lavorato tanto come in questa stagione, che è anche la prima da quando sono professionista in cui mi trovo al centro di un progetto e in campo con tanti minuti da giocare. Tutto è sempre ancora migliorabile, ma sono soddisfatto dei risultati che ho ottenuto da questo punto di vista”.

Un fattore di equilibrio, da quattro partite a questa parte, è diventato Andre Collins. L’ultimo arrivato nella casa bianconera, che proprio ultimo non è. Per la sua esperienza, per la conoscenza dell’ambiente e per il feeling con coach Valli, il tecnico che lo portò in Italia, insieme ad Alessandro Crovetti, ai tempi di Ferrara.

“Andre è un giocatore che conosce il basket e questo campionato, un vero leader in campo. E la sua presenza ha fatto bene a me come al resto della squadra. Anche Gaddy, per esempio, ha tratto beneficio dall’averlo accanto. Con lui abbiamo guadagnato in solidità e certezze, è stato un arrivo importantissimo”.

A ventotto anni, ha un anello Nba in bacheca. Conquistato a Miami nel 2012. In panchina, certo, ma con gente come James, Wade, Bosh a frequentare assiduamente il quintetto, e comunque con 35 presenze durante la stagione. Comprimario, ma non comparsa. E magari con la voglia, prima o poi, di rimettere piede in quell’Olimpo dei canestri.

“Io sono qui e penso alla Virtus. Ci sono venuto per motivi precisi: sapevo di aver bisogno di una piazza nella quale giocare con continuità, restando parecchi minuti in campo, cercando di essere protagonista, e sono contento di aver siglato un contratto 1 + 1. Qui ho trovato la dimensione ideale: come ho detto, un coach e uno staff tecnico che mi hanno cercato, perché mi seguivano da tempo, e una società di grande professionalità, che fa di tutto per farmi sentire a mio agio e permettermi di dedicarmi con concentrazione al mio mestiere. E’ la situazione ideale per crescere”.

Intorno, una tifoseria che lo ha eletto subito a idolo, che si è esaltata quando durante la preseason, ad Ozzano, mandò in mille pezzi un tabellone durante uno scrimmage, e poi non ha più smesso di volergli bene. E una città che sa coccolare i suoi campioni lasciando loro il giusto spazio vitale.

“I nostri tifosi sono unici. Alla Unipol Arena sono stati un uomo in più per tutta la stagione. Bologna, poi, è un posto speciale. A me e alla mia ragazza piace tantissimo la città, piena di storia e così diversa da quelle del mio Paese, mi piace la gente, calorosa ma mai opprimente. E poi si sente che qui c’è una cultura del basket. Storia, tradizione e voglia di guardare al futuro, condizioni perfette per continuare a crescere”.
Poi c’è il Dexter meno noto. Quello che da tempo fa parte negli States di un programma nazionale che promuove iniziative salutistiche per sensibilizzare sui temi dell’obesità giovanile, che segue un’organizzazione no profit che sostiene i giovani svantaggiati, che da anni sostiene le scuole di Rosenberg, la sua città natale in Texas, con donazioni di materiale scolastico. Un giocatore che sta crescendo e un uomo che si impegna nel sociale. Un ragazzone, ma con la testa al posto giusto. Il sogno di ogni allenatore. Non certo di Giorgio Valli, che non aveva bisogno di sognare perché lo conosceva bene e per primo lo ha voluto in Italia.
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