Nino Pellacani è stato sentito da Luca Bortolotti per Repubblica. Un estratto dell'intervista.

Quando si vince è più divertente, ma il pubblico per la Fortitudo non è mai stato un problema, e di stagioni difficili ce ne son state tante. Ho visto una bella squadra, assemblata bene, con begli equilibri e americani che fanno gli americani. Da fuori percepisco armonia in un gruppo in cui ognuno ha capito il suo ruolo.
Anche uno come Aradori giova di compiti ben distribuiti. Freeman poi è perfetto per questo lavoro, pericoloso in area ma con tanto movimento ad aprire spazi per gli esterni. Grazie anche a lui la squadrava spesso con la palla sottocanestro, il che mi piace molto e mi fa rivedere una pallacanestro simile a quella a cui ero abituato.

Attilio Caja

L’allenatore che nella mia carriera più ho amato e stimato, dico il professor Guerrieri, aveva metodi molto diversi, ci lasciava tanta libertà. Ma quando conosci una realtà trovi il modo migliore per relazionarti, a volte ci sono stagioni e giocatori da gestire in maniera più rigida e probabilmente questa era una di quelle.

L'essere fortitudino

È qualcosa di insito nei bolognesi, con cui a volte squadra e club riescono a mettersi in sintonia e a volte no, ma che sopravvive come elemento intangibile. È un modo di percepire lo sport e quel che vi sta attorno che appartiene solo alla gente che vive qui. Il protagonista è il cosiddetto “popolo Fortitudo”: risultati, squadra e dirigenza vengono in secondo piano e si adattano a quel sentire, cercando di capire un sentimento che da generazioni è radicato nel tessuto sociale

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