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Quinta finale in un lustro. Senza Covid 6 su 6, chissà. Numeri che in questo lasso di tempo solo la Virtus può vantare da noi perché la continuità di rendimento non sboccia all’improvviso dal nulla. Segafredo spesso diverse tra loro ma sempre a tenuta stagna, in grado di irrompere con invidiabile puntualità all’atto decisivo per il Tricolore.

Cinque finali con quattro coach diversi tra loro, ugualmente intenti a maneggiare la ricetta in maniera doverosa ma non per questo agevole, talvolta raggiunte perdendo pezzi importanti per strada ma sempre usciti dalle sabbie mobili, quelle in cui di solito i caimani soffocano le prede. A censirne le presenze da quando nel 1977 furono introdotti i play-off, nei 47 campionati portati a termine, per il club questa è la finale numero 17.

Cinque di fila però le ha fatte una volta sola, dal 77 all’81, con alcuni digiuni importanti dall’84 al 93 e dal 2007 al 2021. L’oggi della Virtus è così maturato dopo il largo tempo delle sconfitte, dolorose forche prima di issarsi all’attuale ciclo, costruito con impegno, programmazione e fatica.

Essere in finale non è pertanto un esercizio obbligatorio ma un percorso zeppo di insidie anche per chi negli ultimi 6 campionati (di cui 5 portati a termine) in stagione regolare ha fatto meglio di tutti chiudendo con quattro primi posti, un secondo ed un terzo. Perché i play-off denudano in fretta anche i migliori, togliendo con spietatezza il sogno nel giro di un paio di serate storte

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